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Lettera #60 Gli ETF sono sempre più amati, ma non da tutti. Perchè?

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A cura di
RadioBorsa

Fra i vincitori del 2022 come strumenti d’investimento troviamo gli ETF, ovvero i fondi d’investimento low cost, con masse in forte crescita che si confrontano con i deflussi dei cugini “ricchi”, i più blasonati (e costosi) fondi d’investimento.

In alcune nazioni (come per esempio la Gran Bretagna per restare nel Vecchio Continente) la maggior parte dei capitali investiti presso le banche e i broker più importanti sono finiti in questo contenitore.

Gli ETF sono fondi a basse commissioni di gestione negoziati in Borsa come le normali azioni. E a differenza dei fondi d’investimento tradizionali (o sicav) le commissioni sono più basse (anche del 90% e più al confronto), perché nulla viene ristornato o retrocesso a banche, promotori, private banker o consulenti finanziari se li consigliano. Ragione per cui sono preferiti, soprattutto dagli investitori fai da te e dai consulenti finanziari indipendenti, (come SoldiExpert SCF) cioè quelli pagati esclusivamente a parcella direttamente dai clienti.

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Fra le ragioni del successo degli ETF il fatto che i gestori dei fondi cosiddetti “attivi” non riescono a tenere il passo come performance nel tempo per effetto della zavorra dei costi, ma anche perché tutto il “cinema” costituito da scelte cosiddette attive e comitati d’investimento alla prova del tempo non riesce a generare rendimenti migliori dei mercati.

E questo lo certifica da diversi lustri l’agenzia di rating S&P Global, che ogni anno redige un report disponibile online che indica come pochissimi fondi (mediamente 1 su 10) riescono nel tempo a generare realmente extra-rendimenti rispetto a un approccio passivo come quello rappresentato dalla maggior parte degli ETF.

Un’analisi che ogni consulente finanziario dovrebbe conoscere e portare all’attenzione dei propri clienti prima di parlare di gestione attiva dei fondi che, nella maggior parte dei casi, o è una colossale balla, perché la montagna partorisce alla fine un topolino, ovvero minori rendimenti rispetto agli ETF, maggiori perdite e di sicuro maggiori costi per il risparmiatore.

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La stessa ESMA (l’authority europea dei mercati finanziari) aveva evidenziato qualche mese fa come i fondi passivi (ovvero gli ETF) hanno reso 90 punti base in più ogni anno tra il 2016 e il 2020, ma restano sottorappresentati nei portafogli.

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