La parola più frequente circolata settimana scorsa è stata inflazione dopo che è stato comunicato che l‘indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti è aumentato di oltre il 6% su base annuale e, quindi, più velocemente di quanto non sia successo in 31 anni.
Non passa inosservato nemmeno il +13,5% sull’indice dei prezzi alla produzione cinese, con implicazioni dirette sulla catena produttiva e l’export.
E anche in Italia l’inflazione è salita ai livelli più alti dal settembre 2012. L’Istat ha rivisto stamane al rialzo la stima preliminare sull’indice dei prezzi al consumo a ottobre da +2,9% a +3% su anno.
“Inflazione significa essere povero con tanti soldi in tasca” sintetizzava efficacemente Ugo Tognazzi e alla fine l’inflazione, a forza di evocarla e “chiamarla”, è arrivata e ora molti banchieri centrali vorrebbero farla rientrare da dove è uscita, come nella lampada del genio, ma non sanno più cosa fare.
Per molti risparmiatori le implicazioni dell’inflazione non sono molto chiare, perché non hanno magari mai visto questo “mostro” in azione e non comprendono bene gli effetti nefasti sui risparmi da una parte, e soprattutto, sulla parte in liquidità e sull’obbligazionario.
Semplificando, se il 5% all’anno dei risparmi venissero erosi dall’inflazione ci vogliono meno di 10 anni per dire addio a metà della liquidità o simil liquidità sul conto.
Quante obbligazioni e azioni (e materie prime) avere in portafoglio è una domanda sempre più cruciale e nella prossima settimana condivideremo un approfondimento video sul tema dell’investimento obbligazionario.
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