La settimana passata è stata oscurata da un nuovo attacco al settore bancario che questa volta ha avuto come bersaglio Deutsche Bank, che nella giornata di venerdì è arrivata a perdere fino al 15% per poi recuperare circa due terzi del ribasso nei giorni successivi.
Fra le banche italiane che peggio si sono comportate per “simpatia” Monte dei Paschi di Siena, che ha rotto settimana scorsa il livello di 2 euro e che ha confermato il tempismo della compagnia assicurativa francese Axa di uscire dal capitale nelle scorse settimane cedendo il pacchetto di quasi l’8% che aveva in portafoglio.
La scorsa settimana è proseguita poi negli Stati Uniti (e non solo) la “transumanza” dai depositi bancari ai fondi o Etf monetari dopo che il crash di Silicon Valley Bank ha evidenziato come detenere ingente liquidità possa essere un rischio se la garanzia statale dei depositi non sia in grado di offrire una copertura totale. Considerando anche l’appetibilità dell’alternativa al conto corrente considerato il rendimento che si può spuntare sul mercato obbligazionario con l’investimento diretto.
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Della fuga dai depositi hanno beneficiato grandi banche e società di gestione Usa come Goldman Sachs, JPMorgan Chase e Fidelity (a danno delle banche più piccole). In mezzo alle turbolenze nel settore finanziario si stima che solo i fondi monetari statunitensi di Goldman hanno raccolto quasi 52 miliardi di dollari, un aumento del 13% dal giorno prima che la Silicon Valley Bank venisse rilevata dalle autorità statunitensi il 10 marzo.
I fondi del mercato monetario in genere detengono attività a rischio molto basso che sono facili da acquistare e vendere, compreso il debito pubblico statunitense a brevissima scadenza. I rendimenti disponibili su questi veicoli sono ora i migliori degli ultimi anni (anche oltre il 4%), poiché aumentano con i tassi di interesse, che sono stati portati ai massimi di 15 anni dalla Federal Reserve statunitense nel suo tentativo di frenare l’inflazione.
Il ritmo degli afflussi è accelerato nelle ultime due settimane come non si vedeva dallo scoppio della pandemia, in particolare da parte di grandi depositanti in cerca di rifugi sicuri e/o redditizi rispetto al detenere soldi (spesso infruttiferi) in banca.
È interessante notare che negli Stati Uniti i Money Market Fund hanno un costo medio annuo di gestione per i sottoscrittori dello 0,3% annuo, mentre in Italia gli analoghi fondi monetari (che hanno come sottostanti panieri mediamente molto meno redditizi vista la diversa composizione) hanno costi mediamente doppi (intorno allo 0,6%) con alcune banche e sgr che hanno messo a listino anche commissioni di ingresso iniziali cercando di addebitare ai risparmiatori più indifesi anche il “coperto”.
Come abbiamo spiegato alcuni mesi fa un risparmiatore che vuole investire la liquidità ha oggi varie opzioni, e fra queste anche l’investimento diretto in titoli obbligazionari naturalmente a breve scadenza e di emittenti selezionati ha il suo perché. Il risparmiatore mantiene la proprietà dei titoli (mentre la liquidità si “mischia” con quella degli altri clienti della banca) e può ottenere a scadenza rendimenti fra il 3% e il 4% lordo (nel caso dei titoli di Stato governativi la ritenuta è del 12,5%, invece del 26%).
E da diversi mesi nel nostro piccolo osservatorio notiamo che sempre più risparmiatori per difendere il capitale dall’inflazione ci stanno chiedendo di costruire come consulenti finanziari indipendente per loro anche portafogli ad hoc, diversificati per emittenti, tipologie di obbligazioni e indicizzazione e anche per questo motivo abbiamo potenziato il nostro team e Ufficio Studi. Anche perché non crediamo che questa tendenza sia passeggera come hanno dimostrato le ultime aste dei BTP Italia dove si è assistito al ritorno di quello che una volta veniva definito “Btp people”.
In Europa, il fenomeno di revisione e reimpiego da parte dei risparmiatori della liquidità detenuta presso i conti bancari è naturalmente meno eclatante che negli Stati Uniti, ma inizia a essere sempre più visibile ed è proprio di questi giorni un sondaggio pubblicato dal settimanale tedesco “Stern” dove solo il 50% dei risparmiatori tedeschi si fida della promessa fatta dal cancelliere Olaf Scholz che i depositi dei risparmiatori in quel Paese sono al sicuro. Una dichiarazione che il primo ministro tedesco aveva dovuto rilasciare settimana scorsa per rassicurare i risparmiatori dopo che nubi grigie si erano addensate intorno ad alcune banche come soprattutto Deutsche Bank e Commerzbank, prese di mira dalla speculazione ribassista in Borsa.
In Italia, intanto a proposito di investimenti “congelati” continua a tenere desta l’attenzione il caso Eurovita, che sembra, secondo le indiscrezioni, proseguire la sua fase di “purgatorio” per i sottoscrittori di polizze vita sia ramo I (le cosiddette “gestioni separate”) che ramo III (le unit linked).
Al 31 marzo dovrebbe finire il periodo di blocco dei riscatti da parte degli assicurati (è la prima volta che succede una cosa del genere in Italia) e in queste settimane si doveva cercare di trovare una sistemazione a questo dossier diventato sempre più bollente con magari l’intervento di un “cavaliere bianco” che intervenisse per metterci una bella pezza. Alcuni Big del settore assicurativo sembra che si siano fatti avanti mentre altri avevano già fatto sapere di non esser interessati ad un’eventuale acquisizione.
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