Dopo un alternarsi di trimestri di sofferenza per gli investitori azionari e obbligazionari sembra sia tornato un tono tutto sommato positivo sui mercati finanziari.
A sostenere i listini l’indebolimento dell’inflazione negli Stati Uniti, interpretato come un segnale che la Federal Reserve statunitense non dovrebbe aumentare così tanto i tassi di interesse in futuro per combattere l’aumento dei prezzi.
Negli ultimi giorni, poi, le autorità cinesi hanno ulteriormente allentato le restrizioni sanitarie, più recentemente nelle città di Shanghai e Hangzhou con l’indice di Hang Seng (+20,77% nell’ultimo mese) che è tornato ai massimi di tre mesi.
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Un’effettiva eventuale riapertura dell’economia cinese è una buona notizia per il mondo come quella di un rinculo serio dell’inflazione e anche il mercato obbligazionario sembra finalmente da alcune settimane tornato un luogo più frequentabile con prezzi non più in costante rottura.
E il lato positivo è che i rendimenti offerti da diversi comparti sono diventati di nuovo attraenti. Negli Stati Uniti, ad esempio, i rendimenti dei titoli di stato decennali sono saliti dall’1,5% di 12 mesi fa al 3,8% all’anno attuale e questo sta cambiando radicalmente il mondo degli investimenti: l’acronimo TINA (“Non ci sono alternative (alle azioni)” ovvero in inglese “There Is No Alternative”) molto in auge verso la fine dell’anno scorso sembra ora da seppellire, il nuovo acronimo che inizia a circolare TAPA (“Ci sono molte alternative” ovvero in inglese “There Are Plenty of Alternatives”).
E un chiaro effetto collaterale positivo di un rallentamento dovrebbe essere l’allentamento della pressione inflazionistica che nelle ultime settimane ha mostrato in diversi Paesi un qualche segnale di arretramento.
Alcuni indicatori molto seguiti (come il 5-Year Breakeven Inflation Rate Usa) segnalano che l’inflazione potrebbe tornare al 2,4% entro il prossimo quinquennio e c’è chi si spinge fra gli economisti a vedere addirittura l’inflazione negli Stati Uniti al 2% entro la fine del 2023.
Forse uno scenario un po’ eccessivo considerato anche che esistono forze strutturali come la carenza di lavoratori qualificati, la deglobalizzazione e la decarbonizzazione, che assicureranno una certa pressione inflazionistica nei prossimi anni.
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