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Lettera #69.1 Ogni tanto falliscono anche le banche… il caso SVB.

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A cura di
RadioBorsa

L’incidente di “percorso” scoppiato a Santa Clara ha condizionato i mercati in questi giorni, creando non pochi imbarazzi fra i banchieri e regolatori Usa.

Santa Clara è una piccola cittadina statunitense (circa 110.000 abitanti) ubicata nello Stato della California e che si trova al centro della cosiddetta Silicon Valley, dove hanno il quartier generale alcune delle più importanti aziende tecnologiche mondiali. 

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Qui ha sede la banca che in pochi giorni ha scosso i mercati finanziari e borsistici di mezzo mondo, la Silicon Valley Bank, che è fondamentalmente saltata nel giro di poche ore, quando è apparso chiaro ai suoi depositanti che la coperta era corta e la direzione finanziaria di investimento di questo istituto letale. Suona ora beffardo che solo all’inizio della settimana scorsa Silicon Valley Bank si era vantata di aver ricevuto dalla rivista Usa Forbes un importante riconoscimento.

Qualche giorno fa è emerso che questa banca aveva usato l’ingente provvista di fondi raccolta in questi anni per investirla su titoli a lunghissima scadenza. Peccato che su questi titoli avesse maturato delle fortissime minusvalenze, visto il forte rialzo dei tassi d’interesse avvenuto in tutto il mondo.

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L’entità di queste perdite non realizzate era stata stimata in 16 miliardi di dollari e aveva superato il patrimonio netto della banca. 

Minusvalenze che sarebbero rimaste magari teoriche se non che molti dei suoi particolari clienti hanno iniziato a chiedere di prelevare somme crescenti ed è saltato fuori il patatrac. 

La banca ha cercato prima in realtà di varare un aumento di capitale che è andato fallito ed è stato l’inizio del cosiddetto “bank run”. 

Una corsa agli sportelli bancari si verifica quando i depositanti cercano di ritirare tutti i loro soldi in una volta. 

Non appena è sorto il minimo dubbio sulla solvibilità della SVB, i clienti hanno iniziato a ritirare i propri depositi. Influenti venture capitalist come Peter Thiel (fra i fondatori di PayPal e soci di Elon Musk) hanno consigliato alle loro aziende di ritirare immediatamente i loro depositi. Ciò ha messo in moto una spirale fatale, in quanto ha costretto la banca a vendere sempre più titoli del Tesoro in perdita.

Solo il 9 marzo, secondo quanto riferito da numerosi siti, la banca ha perso 42 miliardi di dollari in depositi dei clienti. Il risultato: nel giro di poche ore, la banca non era solo illiquida ma anche insolvente.

E qui c’è un altro problema di questa banca molto particolare, perché a differenza della maggior parte delle banche Usa e europee, questa si era specializzata quasi in un’unica tipologia di clientela, le aziende tech e in particolare le startup tecnologiche e i fondi di venture capital che ne sostengono la crescita.

La specializzazione in startup ha fatto sì che SVB avesse un modello di business un po’ insolito per le banche: le startup di solito ricevono denaro dai loro azionisti e da società di venture capital. Silicon Valley Bank aveva puntato sul diventare la banca di queste società, gestirne la liquidità e non diversificare particolarmente il business come quasi tutte le banche fanno. Questo modello e questa specializzazione sembravano magari geniali (e per un po’ di anni tutto è andato a meraviglia), ma si è rivelato un incrocio mortale con la situazione dei mercati che si è venuta a verificare nell’ultimo anno.

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