I temi che aleggiano sul mercato e probabilmente ci porteremo al seguito anche nel 2023 sono sempre da diversi mesi i soliti e i più pessimisti li accostano magari alle 10 piaghe d’Egitto nel libro dell’Esodo:
- Il deconfinamento o meno in Cina stabilito da Xi Ping e il suo crescente “isolamento”
- La politica monetaria “rude” o “morbida” attuata dalle Banche Centrali
- L’inflazione se e quando rientrerà a livelli più miti
- Quando la guerra in Ucraina cesserà e cosa succederà
- Se la recessione sarà solo transitoria o meno
- L’evoluzione futura dei profitti aziendali in questo contesto
- L’impatto sul mercato immobiliare del caro mutui e dei tassi jumbo
- Lo sboom talvolta rovinoso del mercato mondiale delle criptovalute
- Il fenomeno della deglobalizzazione e le sue conseguenze sulle catene di approvvigionamento e sul mondo del lavoro
- L’altissimo debito pubblico e privato mondiale(quello ci sta sempre bene in un elenco come questo)
Uno che nonostante i suoi 92 anni suonati non sembra preoccuparsi del futuro e di tutte queste carte degli imprevisti è Warren Buffett. La settimana scorsa è emerso che il guru di Omaha con la sua conglomerata Berkshire Hathaway ha acquistato un pacchetto dal valore di 4 miliardi di dollari del più grande produttore al mondo di chip, la TSMC.
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Sì, proprio la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company con sede a Taiwan dove la Cina sembra volersi allargare prima o poi a leggere diverse dichiarazioni poco tranquillizzanti del leader cinese Xi Jinping anche all’ultimo Congresso del Partito Comunista Cinese.
Ma Buffett è un investitore tenace ed è coerente con quello che scrisse nel 2008 in un bellissimo contributo pubblicato sul New York Times (che vale la pena rileggere soprattutto quando i mercati e i soldi in Borsa sembrano “persi”) dove la sua frase più famosa è: “Nel XX secolo, gli Stati Uniti hanno sopportato due guerre mondiali e altri conflitti militari traumatici e costosi; la Depressione; una dozzina circa di recessioni e panico finanziario; shock petroliferi; un’epidemia di influenza; e le dimissioni di un presidente caduto in disgrazia. Eppure il Dow è salito da 66 a 11.497”. E oggi 14 anni dopo vale circa 33.700 a conferma che il nomignolo di saggio di Omaha se l’è proprio meritato.
Intanto, nel Vecchio Continente, la scorsa settimana abbiamo assistito al sorpasso della Borsa francese su quella inglese che conquista così il primato come maggiore capitalizzazione borsistica.
Secondo i francesi, una conseguenza della Brexit, ma anche un riflesso del dinamismo dei campioni della borsa francese, a cominciare dal settore del lusso, principale driver del CAC 40, l’indice francese più importante.
Per rendersi conto del sorpasso zona Manica, basti evidenziare come la Borsa di Parigi ha raggiunto una capitalizzazione di 2,823 miliardi di dollari, contro i 2,821 miliardi di quella di Londra. Ma se i due maggiori centri finanziari d’Europa appaiono oggi quasi testa a testa, il declino di Londra e l’ascesa di Parigi sono in realtà trend di lungo periodo: a giugno 2014 la Borsa di Londra pesava più di 4.000 miliardi di dollari, contro i 2.234 di Parigi.
Se vi domandate la capitalizzazione di Milano, ovvero il valore di tutte le società quotate alla Borsa italiana, è di 613,7 miliardi di euro o dollari (visto il cambio quasi 1 a 1) a fine ottobre e ho detto tutto.
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