Siamo attualmente in recessione? A vedere quante volte questa parola da inizio anno (oltre 300.000 volte) sembrerebbe proprio di sì!
E se si guardano a molti indicatori di “sentiment” come le previsioni dei responsabili di acquisto delle aziende manifatturiere oppure al mercato obbligazionario e all’andamento dei rendimenti della curva a breve e di quella a lunga da quasi un anno segna brutto tempo.
La Fed ha alzato i tassi da quasi lo 0% a un intervallo compreso tra il 5% e il 5,25% (il ciclo di rialzi dei tassi più rapido e netto degli ultimi 40 anni) negli ultimi 15 mesi.
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Dallo scorso marzo, la Fed, la Bank of England (BoE) o la Banca centrale europea sono state particolarmente brutali nei loro aumenti dei tassi. In meno di un anno la BCE ha così aumentato i propri di 400 punti base (ovvero 4 punti percentuali).
L’effetto di questa cura da cavallo si vede sul mercato del denaro con i mutui a tasso variabile passati dalle stalle alle stelle e nei prezzi delle obbligazioni che pur in presenza di cedole incorporate sempre più ricche non riescono a restare sopra la linea dello zero e scendono.
Se i banchieri centrali come Christine Lagarde della BCE dicono a muso duro che aumenteranno ancora i tassi d’interesse, i prezzi delle obbligazioni (BTP e simili) non salgono, ma anzi scendono, perché evidentemente sul mercato si forma l’attesa di rendimenti superiori (fino a quando non si intravedrà la discesa della curva) e i prezzi dei titoli si adeguano.
E gli aumenti dei tassi hanno lo scopo evidente di raffreddare l’economia e abbassare l’inflazione, ovvero distruggere la domanda.
Questo obiettivo non sembra al momento riuscito e questi aumenti dei tassi si sono certo fatti sentire in alcuni settori come nell’immobiliare di alcuni Paesi e nei bilanci di alcune banche e compagnie assicurative che non hanno retto all’effetto minusvalenze che si sono create in portafoglio e alla fuga degli investitori. Ma nulla al momento di drammatico
Anzi diversi indicatori della vita reale (o dati concreti) suggeriscono che non siamo nemmeno in una vera e propria recessione. Per esempio, ogni singola recessione dalla seconda guerra mondiale ha visto il tasso di disoccupazione negli Stati superare il 6%. E non siamo certo vicini a questo momento, considerato che negli Stati Uniti il mercato del lavoro non sta mostrando un rallentamento significativo e viaggia intorno al 3,6% con i salari che mostrano ancora una crescita.
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