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Lettera #64 Lo stop alle commissioni di retrocessione dimezza i guadagni di banche e consulenti

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A cura di
RadioBorsa

La scorsa settimana ha visto ancora infiammare (e siamo solo all’inizio..) il dibattito sulla nuova proposta legislativa (“EU Retail Investment Strategy”) dove viene prospettato il divieto del meccanismo della retrocessione che imporrebbe ai Paesi europei dove vige il modello “commission only” di passare a quello “fee only”, già adottato in Gran Bretagna e in Olanda.

Tradotto, questo significherebbe che le banche e reti che oggi consigliano ai risparmiatori il loro vino o quello di altri vinai (con cui hanno preso accordi) e si fanno poi restituire da questi una bella quota dei loro ricavi, ebbene non sarebbe più possibile. Stop al giochino delle commissioni di retrocessione, perché secondo troppi studi questo meccanismo gonfia il conto da pagare per i risparmiatori e i conflitti d’interessi. 

Interessante capire quali conseguenze avrebbe un eventuale terremoto di questo tipo sul mercato italiano dove banche e reti ci sguazzano con questo modello, tanto che alcuni anni fa un rispettato analista finanziario, Raffaele Zenti, aveva provato a fare i conti su quanti soldi costa il giochino arrivando a cifre e conclusioni forti: “Una fetta enorme della ricchezza degli italiani, circa 23 miliardi di euro all’anno, grosso modo pari all’1,5% del PIL Nominale dell’Italia. È bruciata dal conflitto d’interesse e dall’anacronistica inefficienza dell’industria del risparmio gestito. Tanti soldi, che potrebbero essere impiegati utilmente in altro modo”.

Comprensibile quindi che banche e reti si schierino a totale difesa dello status quo, ma sta facendo discutere un report che è stato pubblicato negli scorsi giorni dall’Ufficio Studi di Mediobanca e che cerca di capire quale impatto economico avrebbe un eventuale modello “fee only”.

Nell’ottobre 2021 avevamo pubblicato qui l’estratto di un report shock sempre curato da Mediobanca Securities che aveva fatto molto rumore e aveva analizzato i costi applicati ai risparmiatori italiani (spesso al di là di ogni attesa) dalle principali società di gestione e in particolare Azimut, Banca Generali, Banca Mediolanum, Fineco e Anima.

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Che dice questo ultimo rapporto pubblicato da Mediobanca? Che per le banche e reti italiane lo scenario “McGuinness” (il cognome della Commissaria Europea ai Servizi finanziari e non quella di un’allegra festa a base di birra scura irlandese) non sarebbe bellissimo per quanto nessuno può prevedere gli sviluppi e le conseguenze reali.

Intanto i ricavi da commissioni di gestione sicuramente di banche e reti si prenderebbero una botta. Con utili netti societari in calo fino a circa il 30% secondo questo studio, ma con significative differenze tra le società di asset management quotate. Alcune terrebbero maggiormente botta, altre molto meno.

E si potrebbe verificare un crollo del numero dei consulenti finanziari e anche di quelli bancari in seguito alla contrazione dei margini. Sono solo alcuni degli effetti collaterali che porterebbe con sé il divieto per banche e reti di percepire retrocessioni sui prodotti collocati ai risparmiatori.

In questo report viene fatto uno stress test ipotizzando il divieto di percepire gli incentivi (inducements) e il fatto che un 30% dei clienti messi di fronte al conto da pagare migrino verso soluzioni più economiche.

In questo scenario, le commissioni di gestione diminuirebbero complessivamente del 50% (anziché del 29%), mentre gli utili operativi si ridurrebbero del 27% (contro il -15%).

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Il report è molto interessante, ricco di dati e approfondito e scritto da chi la materia la conosce a fondo e non mancano alcune tiratine di orecchie a chi ha consentito che di fatto la Mifid 2 non fosse sostanzialmente rispettata in tema di trasparenza al risparmiatore (molto teorica e poco reale).

Secondo questo report e le discussioni avute con chi lavora nel settore, lo stop alle retrocessioni comporterebbe un “grande reset” per i distributori. E anche per i loro consulenti la cui remunerazione subirebbe una riduzione di almeno il 25%. Un impatto significativo sulla stessa professione di consulente finanziario tradizionale secondo Mediobanca Securities che vedrebbe molti abbandonare la professione.

E per le stesse reti di distribuzione l’impatto sarebbe forte, poiché sarebbe molto difficile sostituire i ricavi da retrocessione persi con servizi a pagamento o con la vendita di prodotti di risparmio propri.

Ci potrebbero essere certo vincitori e vinti, ma comunque il monte profitti complessivo si ridurrebbe.

E anche per le banche non specializzate nell’asset management, ma che hanno nella gestione del risparmio uno degli asset portanti della loro redditività, l’inevitabile contrazione dei margini comporterebbe un’inevitabile riduzione dell’organico. “Restare prudenti” è il consiglio di Mediobanca Securities agli operatori del settore poichè “il divieto di inducement potrebbe portare conseguenze significative”.

Secondo Massimo Scolari, presidente di Ascofind, associazione per la consulenza finanziaria indipendente, “il tema dei costi dei prodotti e dei servizi finanziari non può essere un tabù ma deve essere affrontato con coraggio e lungimiranza, soprattutto nel nostro Paese. Il sistema di distribuzione e i meccanismi di remunerazione come ricorda la Commissaria Europea McGuinness sono un ulteriore fattore che contribuisce al mantenimento di elevati costi per gli investitori”.

La Direttiva Mifid2 aveva introdotto la consulenza su base indipendente con l’intento, sicuramente apprezzabile, di consentire al cliente di scegliere la modalità di servizio e di remunerazione preferita.

La quasi totalità degli intermediari – ricorda Scolari – ha tuttavia privato i propri clienti di questa opzione, proponendo esclusivamente la consulenza “non indipendente” remunerata tramite la percezione di incentivi dalle case prodotto.

Gli investitori sono, nella sostanza, obbligati a pagare, tramite le commissioni sui prodotti, una consulenza anche se, in alcuni casi, di scarsa qualità. E inoltre secondo Scolari “i costi dei prodotti e servizi legati alla gestione del risparmio sono tra i pochi servizi resi al consumatore che non si sono sostanzialmente ridotti negli ultimi trent’anni.

E come evidenzia il rapporto annuale Esma, le commissioni dei prodotti del risparmio gestito sono tra le più elevate in Europa.

I dati dell’ultimo rapporto Consob evidenziano che “nonostante Mifid2, ben due terzi degli investitori non conoscono le commissioni applicate nella consulenza oppure ritengono che il servizio sia gratuito”. E questo significa, come indica anche il report ultimo di Mediobanca, che qualcosa non ha funzionato sulla trasparenza dei costi perché dal 3 gennaio 2018 nella teoria tutti i risparmiatori avrebbero dovuto conoscere i costi dettagliati di tutti i prodotti e servizi finanziari consigliati da banche, reti, intermediari e consulenti.

La strada della trasparenza finanziaria, come mostrano i suggerimenti saggi di Massimo Scolari di Ascofind e di Mediobanca Securities, è irta evidentemente di ostacoli in Italia e se un numero elevatissimo di risparmiatori non pensa addirittura di pagare nulla… evidentemente c’è qualche lineetta tratteggiata da unire e molte banche e reti potrebbero magari comprendere che a forza di tirare la corda questa si può spezzare.

Vedremo come finirà. Bene comunque che finalmente si parli di questo argomento che, come aveva ben scritto Raffaele Zenti, vale qualche decina di miliardi di euro all’anno che spesso cambiano padrone silenziosamente e senza nemmeno grandi motivi di merito.

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