Da inizio anno, Piazza Affari perde circa il 19%, ma non siamo troppo distanti dalla media europea in questo anno disgraziato e non solo per il Vecchio Continente.
Dal 1970 a oggi il rendimento medio annuo reale (ovvero depurato dell’inflazione) di Piazza Affari è stato del 4,5% annuo. Apparentemente non male, ma le azioni europee hanno avuto nello stesso tempo un rendimento medio annuo del 7% e quelle statunitensi quasi del 9% ma quello che fa più impressione è la volatilità del listino italiano che è stata quasi doppia.
La capitalizzazione di Piazza Affari da diversi lustri si sta purtroppo restringendo con sempre più società quotate medio grandi che scelgono il delisting (ultimo è il caso di Tod’s) o di quotarsi in altri mercati (vedi il caso di Exor) e la capitalizzazione del listino italiano (570 miliardi di euro) confrontata con quella tedesca o francese (circa 2700 miliardi di euro) evidenzia il nostro capitalismo in scala ridotta quando si parla di mercati, contendibilità e trasparenza.
Il tesoro di Piazza Affari sono soprattutto le aziende a media e bassa capitalizzazione (rendimento medio annuo nominale di quasi il 10% nel decennio) dove sono emerse, in questi anni, molte società capaci (definite talvolta “multinazionali tascabili”) di conquistare i mercati e competere a livello globale nonostante tutto seppure nell’ultimo triennio il passo si è ridotto o quasi annullato se si analizzano le performance degli indici large contro small e medium cap.
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